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Problem solving

Abbiamo un problema

“OK, Houston, we’ve had a problem here”, comincia così la celeberrima comunicazione tra Jack Swigert a bordo dell’apollo 13 e il centro di comando sulla Terra. Un centesimo per ogni volta che la parola “problema” viene pronunciata in azienda e sarei ricco. C’è da chiedersi però cosa sia effettivamente un problema. 

Da wikipedia: “è un ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una certa esigenza, frapponendosi tra la volontà dell’individuo e la realtà oggettiva”. Ci siamo quasi, ma sinceramente, almeno in ambito aziendale, mi piace pensare più al problema come ad una deviazione da una condizione nota. Una differenza tra un’ aspettativa o meglio ancora uno standard e la situazione contingente.

Un esempio: mi aspetto di ricevere la busta paga il 10 di ogni mese (condizione standard). Se l’11 non vedo l’accredito sul conto, ecco che ho un bel problema.

Avere un problema (o almeno una certa categoria di problemi) richiede quindi una condizione di riferimento. Parafrasando Taiichi Ohno direi: “se non c’è uno standard, non c’è un problema”. Figuriamoci se possiamo pensare di migliorare. Già qui la mia esperienza lavorativa mi porta a dire che non siamo tanto abituati a riferirci a standard condivisi per parlare di anomalie. Con buona pace dell’ente Qualità e delle certificazioni ISO. 

Spiace dirlo e non vorrei generalizzare troppo, ma spesso le procedure, le istruzioni operative e altri documenti circolanti sono fatti più per soddisfare gli auditor che per descrivere i reali processi aziendali. Un bel problema: l’aspettativa è avere degli standard condivisi e utili, la realtà è avere dei documenti così generici, idealizzati o semplificati che non rappresentano la realtà e non servono quindi a evidenziarne le anomalie.

Facciamo però un passo in più e mettiamoci nella condizione di avere un problema riconosciuto chiaramente come tale: il mio standard prevede il montaggio di un sottogruppo in 43 minuti, l’operatore ne impiega 54. Chiaro. Soluzione?

Posta così la prassi è sparare subito l’idea più ovvia e/o la soluzione più ingegnosa. “un fornitore mi ha mostrato un nuovo avvitatore con numero di giri al minuto più elevato di quello in uso. Dato che ci sono circa un centinaio di serraggi da fare su ogni prodotto e che il tempo di avvitatura si ridurrebbe di 7’’ a vite … rientriamo nel tempo ciclo atteso”. Fatta. Applausi. 5000€ di investimento. Problema risolto. Davvero?

Questo è quello che accade normalmente, ma cosa andrebbe fatto è un po’ diverso. Il signor Ishikawa fornisce uno strumento utile per analizzare la situazione. Il diagramma che porta il suo nome è il primo passo da fare: identificare la causa radice del problema. In caso di dubbio (i problemi sono complessi, la causa radice annidata e nascosta) si applica un ulteriore filtro. Io lo chiamo il “filtro del bimbo dell’asilo”. La tecnica è usata ampiamente da mio figlio (5 anni per la cronaca) che, di fronte ad un fenomeno chiede ossessivamente “perché”. Si parte da un gelato e si finisce a domande esistenziali con poche semplici iterazioni. In ambito aziendale serve a verificare se si è scavato abbastanza a fondo. La trovate in letteratura come la tecnica dei “5 perché”.

Stabilito che la causa per cui l’operatore non riesce a restare nel tempo ciclo (o almeno la principale) è una formazione inefficace, si scava. “Perché l’operatore non è stato formato adeguatamente?” “Non c’è stato sufficiente tempo dall’ingresso in azienda al giorno in cui era necessario lavorasse in linea”. “Perché non c’è stato…bla bla bla?” “Perché la richiesta di formazione è arrivata al training center con scarso preavviso”. ”perché la richiesta… ecc ecc?” Perché il responsabile di produzione era in malattia e non ha inoltrato le richieste di formazione. Ah… ecco nemmeno cinque passaggi. Forse ci siamo.

Abbiamo appena scoperto che un’assenza ha generato un “buco” che sta avendo un impatto sulla produttività della linea. Cosa succede adesso?

Di solito si riprende il responsabile di produzione che, nonostante avesse la febbre alta poteva pur darsi una mossa e mandare la richiesta. Fine.

Qualche responsabile più illuminato e desideroso di eliminare la causa radice potrebbe, invece, chiedere al suo collaboratore di scrivere almeno una lista delle attività che fa ricorsivamente (tra cui figurerebbe la richiesta di formazione) in modo da avere una linea guida da usare in sua assenza e non perdere così almeno le cose più macroscopiche. 

Risparmiati 5000€ e futuri mal di testa.

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