Muda, Mura, Muri non è un simpatico scioglilingua, ma un trittico di parole giapponesi che richiamano e condensano il concetto di “spreco” nelle sue diverse manifestazioni. Muda è forse quella più nota; non vorrei cercare di tradurla letteralmente, ma di fatto rappresenta tutto ciò che non ha valore, l’inutile.
Taichi Ohno la declinava in 7 diverse forme (sovraproduzione, attesa, spostamento, movimentazione, difetti, scorte e sovraprocesso), che descriveremo in un nostro prossimo articolo.
Credo si tratti di concetti molto noti, ma mi chiedo sempre se davvero le organizzazioni e le persone che vi lavorano li abbiano sempre presenti e lottino, è il caso di dirlo, per ridurli.
Mura rappresenta la variabilità, la mancanza di bilanciamento, l’incostanza. Quando ne sento parlar la mente va subito a Jay Forrester teorico del “Bullwhip effect” (https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Forrester), ma gli effetti di questo mostriciattolo sono ovunque. Li vedo ogni giorno nella mancanza di uno standard work anche in ambito “office” che aiuti a canalizzare e controllare i carichi di lavoro, per esempio.

Muri è però il mio preferito. E’ quello che fa fare lo straordinario sempre, che fa affrontare i progetti con un sorrisone e un “ce la dobbiamo fare”. Il sovraccarico organizzativo, produttivo, personale conscio e sconsiderato. Il “buttare il cuore oltre all’ostacolo” è un concetto che non funziona: logora le organizzazioni, crea clienti insoddisfatti e blocca quei sani processi di automedicazione che le aziende dovrebbero sapere mettere in atto.
Mi sono chiesto spesso cosa ci sia alla base, ma credo di poter puntare il dito sull’horror vacui di aristotelica memoria. La paura, insomma, di non avere da fare, di vedere risorse ciondolare con le mani in tasca, di non portare a casa il risultato. Difficile combatterlo. Qualcuno ci prova con l’Hoshin Kanri, una declinazione razionale e guidata della strategia aziendale che seleziona i progetti e li pesa guardando più il là del proprio naso. Ma qui si apre un mondo.
Alla fine di tutto, però, ci vuole lui.
Il “Mottainai” (https://www.giapponeinitalia.org/mottainai/) che in italiano potrebbe suonare come “che peccato!”, ma perderebbe forse la profondità che merita. Volendolo spiegare è un sentimento oserei dire di disgusto che dovrebbe pervaderci quando vediamo uno spreco. Lo stesso che si sente (o si dovrebbe sentire) quando si vede dell’immondizia a terra in un luogo incontaminato. E’ un sentimento che va coltivato e incentivato in azienda, ma che può portare a risultati enormi. Ho avuto la fortuna di visitare diverse aziende in Giappone e ho ritrovato diversi esempi che ho portato con me; uno su tutti: nella ricchissima Toyota si arriva a riciclare le buste per la posta interna finché non sono logore, si riutilizzano i badge dei dipendenti per fare pass per i visitatori. Pensata a questi piccoli gesti, a queste attenzioni, moltiplicate per 10, 100, 100, a cosa possono portare?
Come misurate e contrastate gli sprechi in azienda? Ci vediamo nei commenti e nel nostro gruppo Telegram!